Il mare è come una lingua universale, che insegna a considerare tutti e tutto uguali, senza diversità. Quando lanciai la sfida di “Creuza de ma”, la immaginai come una piccola odissea dal Bosforo a Gibilterra. Ho pensato a una Genova sorella dell’Islam. Dovevo quindi creare un linguaggio che unisse tutti i popoli. Una volta individuati gli strumenti per le mie canzoni dovevo adottare una lingua che vi si adagiasse sopra, che evocasse atmosfere attraverso fonemi cantati. La lingua più adatta mi è sembrata fosse il genovese, con i suoi dittonghi, i suoi iati, la sua ricchezza di sostantivi tronchi, che puoi accorciare e allungare…quasi come il grido di un gabbiano. Non volevo parlare solo dei marinai emigranti, ma di tutti i popoli che testimoniano la loro sofferenza passando per il mare. Fabrizio De Andrè
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